Il potenziamento ha a che fare con lo sviluppo tipico e consiste nell’insieme degli interventi volti a favorire e promuovere l’acquisizione ed il normale sviluppo di una funzione non ancora comparsa al meglio. Per potenziamento si intende predisporre un intervento educativo in grado di favorire il normale sviluppo di un funzione che sta emergendo. In altre parole significa fare utilizzare la funzione al meglio delle potenzialità individuali, offrendo situazioni di apprendimento con elementi di novità e complessità maggiore rispetto a quanto il bambino potrebbe imparare se agisse da solo e per proprio conto.
Il concetto di potenziamento deriva da quello di sviluppo prossimale proposto da Vygotskij (1934). Secondo lo studioso, la zona di sviluppo prossimale corrisponde allo spazio intermedio tra il livello di sviluppo attuale del bambino, determinato dalla sua capacità di soluzione di problemi in modo indipendente, ed il suo livello di sviluppo potenziale, definito dalla sua capacità di soluzione di problemi con l’assistenza di un adulto o attraverso la collaborazione con bambini più capaci. In altre parole, il potenziamento è quel percorso che garantisce al bambino il meglio della sua competenza. Il sistema neuropsicologico basale è “modellizzabile”, cioè si organizza in maniera da rispondere agli stimoli ambientali e di istruzione. Meglio tali stimoli si conformano alle caratteristiche “dominio-specifiche” delle funzioni cognitive dell’apprendimento, più si facilita il potenziamento prossimale del sistema stesso. Nessun dominio evolve al meglio delle sue possibilità se l’ambiente educativo non accompagna e potenzia adeguatamente tale sviluppo, nei tempi adeguati e con le modalità pertinenti.
Per mettere in atto un buon programma di potenziamento deve essere chiara la relazione tra potenziamento e valutazione iniziale; pertanto, l’intervento deve essere finalizzato a promuovere l’acquisizione di una o più aree carenti. Un buon metodo di potenziamento implica che:
si conoscano i processi domini specifici e le fasi evolutive della loro maturazione; l’intervento sia finalizzato ad aiutare il bambino nelle abilità più affaticate; l’evoluzione del processo risulti migliore rispetto all’evoluzione naturale attesa. buon metodo di potenziamento implica che:
si conoscano i processi domini specifici e le fasi evolutive della loro maturazione;
l’intervento sia finalizzato ad aiutare il bambino nelle abilità più affaticate;
l’evoluzione del processo risulti migliore rispetto all’evoluzione naturale attesa.
Inoltre un buon intervento di potenziamento deve essere fondato su dati di ricerca scientifica e deve proporre in modo esplicito delle ipotesi di miglioramento.
Infine, risulta cruciale il concetto di efficacia: un intervento lo è solo se migliora l’evoluzione del processo in misura maggiore rispetto all’evoluzione naturale attesa. Il processo che parte dalla valutazione iniziale fino alla conclusione dell’intervento dovrebbe essere il seguente:
la valutazione iniziale, attuata attraverso test oggettivi, che consente di individuare una o più aree carenti nel profilo del bambino in base al principio di discrepanza nel dominio specifico interessato, per cui la prestazione viene definita deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata;
l’analisi dei profili individuali delle competenze del bambino attraverso un’attenta osservazione non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa degli errori commessi;
l’individuazione dell’area o delle aree carenti, che rende possibile la programmazione del percorso di potenziamento più adeguato, che deve essere specifico, ovvero volto a promuovere l’acquisizione del meccanismo deficitario;
al termine del percorso di potenziamento è auspicabile valutarne l’efficacia attraverso la ripetizione della prova di valutazione iniziale la quale, sempre attraverso il confronto con i dati normativi, consentirà di verificare l’entità del miglioramento;
all’analisi dell’efficacia dell’intervento segue almeno un follow-up successivo all’intervento.
Il controllo dell’efficacia dell’intervento è la prova dell’efficacia delle strategie di potenziamento educativo per superare anche profili d’apprendimento significativamente compromessi. Tale miglioramento delle prestazioni di apprendimento è da considerarsi sempre in sinergia con i meccanismi motivazionali e di autostima che costituiscono parte integrante del sostegno educativo alla persona (Lucangeli 2013).
La recente legge 170/2010 ha posto l’attenzione sui Disturbi specifici di apprendimento specificando che interessano alcune specifiche abilità dell’apprendimento scolastico in un contesto di funzionamento intellettivo adeguato all’età. Secondo le ricerche attualmente più accreditate i DSA sono di origine neurobiologica, ma allo stesso tempo hanno matrice evolutiva e si mostrano con un’atipia dello sviluppo, modificabili attraverso interventi mirati.
La diagnosi di DSA (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia) deve avvenire in fase successiva all’inizio del processo di apprendimento scolastico. Un’anticipazione eccessiva della diagnosi aumenta in modo significativo la rilevazione di falsi positivi. Tuttavia è possibile individuare fattori di rischio (personali e familiari) e indicatori di ritardo di apprendimento che possono consentire l’attuazione di attività ed interventi mirati e precoci a garantire una diagnosi tempestiva.
Il termine DIFFICOLTÀ di APPRENDIMENTO è piuttosto generico e privo di un significato preciso in ambito scientifico, indica varie tipologie di problematiche scolastiche che possono impedire, ostacolare o semplicemente rallentare il normale processo dell’apprendere. Quindi, con questo termine si fa riferimento ad una qualsiasi difficoltà incontrata da un alunno nel corso della sua carriera scolastica derivante da uno o più fattori che possono riguardare sia lo studente (caratteristiche della personalità, stile di vita, motivazione) sia il contesto (caratteristiche socioculturali dell’ambiente, aspetti familiari, qualità dell’istituzione scolastica).
Quando, però, ci si trova di fronte a problematiche più gravi e meglio definite, gli studiosi del settore le distinguono da quelle più generali sopra descritte indicandole come DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO. Vengono così definite particolari problematiche riconducibili ad un deficit, ad una disfunzione o ad un ritardo nello sviluppo dell’organizzazione neurofunzionale. Tale distinzione è fondamentale per focalizzare il problema e predisporre un intervento adeguato.
Secondo la DEFINIZIONE presente nell’ICD-10 dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nei bambini che presentano disturbi dell’apprendimento risultano compromesse abilità fondamentali come ascoltare, parlare, leggere, esprimersi adeguatamente e correttamente per iscritto, o svolgere calcoli matematici. In particolare, i disturbi dell’apprendimento si distinguono in specifici o aspecifici a seconda che siano associati o meno a particolari difficoltà negli apprendimenti scolastici: i DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO comprendono i disturbi legati all’apprendimento della lettura (la dislessia evolutiva e il disturbo specifico di comprensione), della scrittura (la disgrafia evolutiva e la disortografia) e dell’aritmetica (discalculia evolutiva e difficoltà di risoluzione dei problemi); quelli aspecifici includono disturbi legati a problematiche più generali, quali le difficoltà visuo-spaziali, le problematiche legate all’aspetto emotivo-relazionale e alla scarsa coordinazione motoria.
I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO sono, nella quasi totalità dei casi, di natura congenita, quindi rappresentano una sorta di elemento costitutivo che accompagna il bambino fin dalle prime fasi del suo apprendimento. Le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Egli, infatti, deve acquisire nuove abilità, come lettura, scrittura e calcolo, partendo da un assetto neuropsicologico che non favorisce l’apprendimento automatico di quei costrutti. Inoltre, assodato che questi disturbi sono riconducibili ad abilità o alterazioni neurofunzionali non riparabili in sé, l’obiettivo della riabilitazione non deve essere centrato sulla scomparsa del sintomo, bensì sulla riduzione della difficoltà. Si tratta dunque, per quanto concerne i bambini con DSA, di aiutarli a raggiungere le competenze sufficienti per concludere con successo il ciclo dell’obbligo e potersi anche iscrivere all’Università.
Il bambino con DIFFICOLTÁ DI APPRENDIMENTO non presenta, per quanto riguarda le funzioni implicate nell’apprendimento, deficit generalizzati: più spesso si caratterizza per LACUNE SPECIFICHE, che solamente un’osservazione in grado di evidenziare le differenze “intraindividuali” riesce a precisare (criterio della disomogeneità). Il bambino può presentare competenze disomogenee nei diversi ambiti disciplinari d’apprendimento (ad esempio le sue prestazioni possono essere buone nell’area matematica, ma non in quella linguistica) oppure anche nell’ambito della stessa disciplina (ad esempio nell’area matematica buone competenze di calcolo, ma non di problem solving).
C’è un unico disturbo dell’apprendimento che non ha una base organica ed è l’impotenza appresa: l’imparare cioè “che non sono capace”. Se un bambino vive ripetute difficoltà, se non addirittura fallimenti scolastici, si convince di non possedere le abilità per affrontare quel determinato compito e che qualunque cosa faccia sia inutile. Questo, come è noto, ha delle conseguenze sugli aspetti emotivi, sulla motivazione, sull’autostima pertanto l’apprendimento si blocca. Bisogna interrompere il prima possibile questo circolo vizioso attraverso adeguate strategie educative Il potenziamento educativo e una riabilitazione specifica effettuata da educatori competenti rovescia l’impotenza appresa che si trasforma in auto-competenza, forza e autostima.
La ricerca scientifica distingue nei meccanismi di aiuto tre livelli di azione.
1. Esposizione:
consiste nel creare un ambiente ricco di stimoli per lo sviluppo delle competenze. L’esempio è quello del bambino di fronte ad una scala: deve imparare a salirla.
2. Facilitazione:
consiste in tutte le condizioni che l’adulto utilizza per facilitare il compito, cioè per rendere più facile la prestazione. Sempre sull’esempio del bambino di fronte alla scala: l’educatore per facilitarlo gli aggiunge un corrimano, gli abbassa i gradini etc.
3. Potenziamento:
consiste in strategie e riabilitazioni che migliorano le funzioni neurobasali. Sempre sull’esempio del bambino di fronte alla scala: l’educatore per potenziare le sue funzioni deve esercitare l’equilibrio e la coordinazione motoria, cioè le sue funzioni